Kalayo @ 70s Bistro, Manila 19/10/2013

24Ott13

kalayo

È la seconda volta che sento i Kalayo dal vivo ed è stato uno dei concerti più belli della mia vita, quasi un’esperienza mistica. Forse avrà contribuito il fatto che, in entrambi i casi, sono finito completamente ubriaco tra le tre e le cinque del mattino, o forse più che una causa è stata una diretta conseguenza.

Nel film The Commitments è presente un dialogo in cui il protagonista, per descrivere la musica soul alla band di cui è manager, dice che: “C’è tanta buona musica in giro ma il soul è più di questo: ti prende per le palle e ti tira fuori dalla merda”. Durante il concerto io pensavo a quella frase, che mi martellava in testa, nonostante il genere fosse diverso. Il suono dei Kalayo (che significa “fuoco”) ricorda infatti quello dei Goat di “World music”, ma la world music (una definizione orribile, io continuo a preferire “musica etnica”) è qui molto più intrisa di funk-crossover, tipo i primi Red Hot Chili Peppers di “Freaky Stiley”, e rock ‘n’ roll psichedelico. Si dice che il gruppo sia stato fondato in Francia dal chitarrista e cantante appunto, che ora insegna in una scuola di musica internazionale a Manila. In effetti ricordo di averci scambiato qualche parola in francese, ma non molto altro, prima di finire a parlare per ore con un tizio del mio nuovo argomento preferito, che sono le miniere d’oro.

Come spesso succede in questo paese sono tre gruppi a suonare per coprire la serata in un locale; la maggior parte della gente sta seduta ai tavolini ma siccome era pieno di bianchi di merda ci siamo alzati tutti e io ho perfino pogato, ragion per cui mi hanno ovviamente preso tutti per il culo per i due giorni successivi. Tuttavia rispetto alla prima volta, dove la formazione era dimezzata e si sono divertiti a suonare cover e classici blues-rock improvvisando per un sacco di tempo, c’erano tutti i sei componenti più una seconda cantante dalla voce e movenze incredibili. Una batteria, delle darbouka e percussioni varie (più il kubing, un’arpa da bocca che ho appena imparato a suonare) sono affidate a ben quattro membri della band, mentre basso e batteria coprono in maniera impressionante gli spazi ritmici lasciati vuoti.

Sono abbastanza sicuro che abbiano suonato buona parte dei brani del disco “Malaya” (che vuol dire “libero”), intermezzando con una bottiglia di tequila e una di vino appoggiate di fianco alla grancassa, entrambe vuote a fine serata. Ci sono addirittura informazioni per acquistare il cd dall’estero sulla pagina facebook del gruppo, che non ha un sito ufficiale. Può essere che il disco, registrato nel 2011, sia l’unico ufficialmente prodotto. Non è affatto male, anche se dal vivo spaccano veramente di più. Una prova? La prima volta che li ho sentiti sono tornato a casa oltre ventiquattr’ore dopo.



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