Above the Tree & Drum Ensemble du Beat – “Cave_Man”
Ripartiamo dall’ultima volta, ho ascoltato anch’io il disco degli Hartal! per placare la mia aerofagia durante un volo intercontinentale. Così, scoreggiando sopra Nanchino, ho utilizzato per la prima volta dopo mesi un paio di cuffie decenti (che non sono riuscito a fottere alla compagnia aerea per un soffio, ‘sti bastardi passano proprio a riprendertele dalle mani). Un bel disco davvero, strumentale e cupo ma liberatorio allo stesso tempo. Del resto il parere nostrum lo conoscete già dall’ultimo post.
Ultimamente mi sono messo ad ascoltare cose trovate a caso tra i video consigliati di youtube. Tornato a casa ho visto subito molto verde, persone che gridano e litigano molto più apertamente. Dentro casa, attratto da una copertina bellissima, ho trovato il disco di uno dei gruppi che avevo scoperto su youtube, Above The Tree, insieme alla Drum Ensemble Du Beat. L’ho ascoltato due volte di fila, addormentandomi, in soggiorno. Con uno stereo vero, e pure parecchio raffinato. Fuori, silenzio totale. È stata una sorta di risalita verso l’educazione musicale, per non parlare delle connessioni tra musica e onirismo. La prima volta che ho avuto un’allucinazione infatti, è stata grazie alla musica. Avevo circa quattordic’anni, e ascoltavo i Gong in cuffia mentre stavo per addormentarmi. Ad un certo punto, gnomi e folletti hanno iniziato a calarsi dal soffitto al ritmo della canzone. Il primo pezzo di “Cave_Man” si chiama appunto “Aborigenal Dream”:
Above The Tree in realtà è una persona sola, in collaborazione con un duo di elettro-percussionisti. È un disco che si potrebbe catalogare come ambient, perché nessuno canta, dal sapore downtempo-psichedelico. È un disco che profuma di orientalismo, dal momento che è concepito come lettura occidentale del viaggio di popoli lontani, appartenenti ad un immaginifico mondo tropicale, che si appropriano di un territorio prima di essere spazzati via da forze esterne maggiori. I decori tribali colorano “People from the cave” (traccia 2), “Berbers in action” (traccia 4) e “Black spirits” (traccia 5) nordamericani (non so se avete notato quante sinestesie c’ho messo in queste due frasi, ormai scrivo liscio come l’olio che voi ve lo sognate). È un disco che si fa ascoltare senza intoppi, mentre preparate la cena o assumete delle sostanze psicotrope, come il caffè. Per me è il disco del ritorno, dell’eterno ritorno, del non ritorno. Intorno, il silenzio.
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